Chi si ricorda della canzone di Alan Sorrenti?
Vi siete mai chiesti come mai quando sale un estraneo in ascensore il nostro stato cambia? Dove ci posizioniamo fisicamente all'interno di quella piccola scatola?
Secondo alcuni studi condotti dalla psicologa clinica Babette Renneberg della Libera Università di Berlino salendo in ascensore seguiamo tutti un identico rituale: se siamo soli il problema non si pone ci posizioniamo dove abbiamo voglia, se però sale una seconda persona ci si comincia a collocare ognuno in un angolo, la terza ne occuperà un altro, infine la quarta quello rimanente.
Il quinto passeggero starà nel mezzo. Una disposizione di questo tipo consente ad ognuno di occupare una zona sufficientemente ampia e sentita come meno “pericolosa”.
A questo punto, dopo che fisicamente lo spazio è stato occupato secondo una regola non detta, ma seguita istintivamente, il nostro disagio di norma aumenta: il silenzio e la vicinanza non aiutano.
Iniziamo a fissare un punto nel vuoto o il cartellino dei controlli periodici, la nostra mente va verso il peso complessivo che può reggere l'ascensore e facciamo un rapido conto delle masse presenti oppure, più semplicemente controlliamo il cellulare.
Assumiamo cioè un comportamento, dentro uno spazio così ristretto, che percepiamo come neutrale e vogliamo dare questo messaggio.
Temiamo che qualsiasi nostro cenno, qualsiasi nostra attività, qualsiasi nostro sguardo possa essere interpretato come minaccioso o ammiccante e quindi possa scatenare nell'altro una reazione che non saremmo in grado di gestire.
Da questo quadro nasce l'ansia legata all'uso dell'ascensore.
A volte la breve distanza percorsa tra un piano e l'altro ci sembra eterna, in alcuni casi la sudorazione è a mille, il cuore batte forte e non vediamo l'ora di liberarci da quella condizione che non possiamo in alcun modo controllare..
Che fare allora?
Se vi aspettate di leggere Il trucco per uscire da questo meccanismo rimarrete delusi.. perché quello che ci piacerebbe trasmettere è l'importanza di conoscerci, di conoscere le nostre dinamiche comportamentali e quindi “normalizzarle” in modo che non ci siano di ostacolo nella nostra vita quotidiana.
Il da farsi quindi è legato alla “prevenzione primaria” ovvero la conoscenza delle proprie emozioni per saper controllare gli effetti che queste hanno sul nostro comportamento.
Concederci l'opportunità di entrare nel mondo della conoscenza delle nostre emozioni è dunque importante per il nostro benessere e per preservarci da situazioni difficoltose, faticose e a volte trasformate dalla nostra mente in imprese impossibili.
L'Associazione A piccoli Passi promuove per i propri soci percorsi di questo tipo, quindi vi incoraggiamo a partecipare alle nostre attività, a contattarci anche solo per soddisfare qualche curiosità.
Bisogna conoscere se stessi. Anche se questo non servisse a trovare la verità, servirebbe a regolare la propria vita, e non c'è nulla di più giusto.
Blaise Pascal, Pensieri, 1670